Nascita di una rivoluzione by Irene Nemirovsky

Nascita di una rivoluzione by Irene Nemirovsky

autore:Irene Nemirovsky [Nemirovsky, Irene]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: LiB3
pubblicato: 2013-03-15T23:00:00+00:00


RACCONTO NUMERO 2

Magia

Eravamo un gruppo di ragazzi e ragazze che, quando scendeva la sera, in Finlandia, durante la rivoluzione del 1918, si divertivano a fare sedute spiritiche. Abitavamo in mezzo alla foresta, ed era inverno: laggiù, l’estate dura soltanto tre mesi. Ora, appena calava il crepuscolo, i sentieri della foresta diventavano pericolosi: i ribelli fuggitivi si nascondevano dietro gli alberi, nei borri pieni di neve, e i soldati dell’esercito nemico li inseguivano, braccandoli implacabilmente tra i boschi cedui. Si sparava, e se una pallottola vagante avesse preso un viaggiatore russo che si era rifugiato in quel Paese, lontano dalla sua, di rivoluzione… be’! noi non avevamo un console che potesse difenderci o avvisare la nostra famiglia di un decesso prematuro. In quel villaggio, formavamo una piccola colonia russa che viveva, alla meno peggio, in una vecchia casa di legno, una pensione a conduzione familiare, decrepita, fatiscente, fatta di ampie stanze nere e grandi saloni vuoti. Una di queste era stata riservata alla gioventù; i nostri genitori giocavano a bridge o a whist nelle stanze vicine. L’elettricità era stata tagliata dal mese di novembre; ci venivano concesse sei candele ogni sera: quattro illuminavano i tavoli dei giocatori, due il nostro. Immaginate una stanza immensa, con il soffitto basso, le finestre a bovindo, senza tende né imposte, con i vetri coperti di ghiaccio; c’era un pianoforte in un angolo, sotto una fodera di panno grigio, uno specchio al muro in una grande cornice di legno, un armadio dove tomi scompagnati di Balzac convivevano con vasetti di marmellata, ahimè, per lo più vuoti, e, infine, al centro della stanza, un tavolino tondo.

Ci sedevamo tutti intorno a quel tavolo, con le due candele conficcate nelle bottiglie. Come descrivere il silenzio di quelle notti del Nord, senza un alito di vento, senza un cigolio di ruote, senza un grido di gioia su una strada, senza un richiamo, senza una risata? A volte, soltanto il secco e leggero schiocco di uno sparo nella foresta o i pianti di un bimbo che si era svegliato nelle stanze in alto. Allora, si sentiva la madre gettare le carte e correre verso la scala, e il rumore del suo abito lungo si perdeva nei corridoi. Erano interminabili, ghiacciati, sinistri, quei corridoi. Di solito, facevamo in modo di salire in camera nostra tutti insieme, tutti in una volta; li attraversavamo in gruppo, ridendo, cantando, con il cuore stretto dal terrore. Non so se lo stato nervoso in cui ci trovavamo ne fosse la causa, o se fu l’opera di qualche spiritoso, ma non vidi mai tavolo più leggero impennarsi più facilmente sotto le nostre mani, scagliato da una parete all’altra, beccheggiare come una barca sotto un vento di tempesta, e fare infine un tale baccano che i nostri genitori venivano a supplicarci di divertirci in qualche altro modo. Dicevano che gli urti di quel maledetto tavolo e il rumore dei colpi di fucile erano veramente più di quanto potessero sopportare e che la vecchiaia meritava dei riguardi. Dopo un po’ di tempo, avevamo dunque modificato e perfezionato il nostro metodo.



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